SE c’è una cosa che irrita Joyce Carol Oates è la domanda sulla sua prolificità, ma è impossibile eluderla, considerando che già ha pubblicato 56 romanzi (otto con lo pseudonimo di Rosamond Smith e tre come Laureen Kelly), 25 raccolte di racconti, 8 novelle, 9 drammi teatrali, 16 saggi, 10 raccolte di poesie, 6 libri per l’adolescenza e 3 per l’infanzia.

E a questa prolificità corrisponde un eclettismo ammirevole, se si pensa che ha scritto di argomenti che vanno dalla boxe a Marilyn Monroe, alternando generi letterari di ogni tipo, senza disdegnare il gotico, come nel caso de Il maledetto , in uscita da Mondadori, definito da Stephen King “uno dei grandi romanzi sul Novecento”. Colta, raffinata e dalla grande vivacità intellettuale, la Oates ha realizzato un libro che trascende il genere, nel quale il racconto di un preciso momento storico si mescola all’analisi di una società in via di trasformazione. La vicenda ha luogo a Princeton tra il 1904 ed il 1906, e insieme a vampiri e fantasmi, vede la partecipazione di Jack London, Upton Sinclair, Mark Twain, il presidente Grover Cleveland e Woodrow Wilson, allora a capo della prestigiosa università dove tuttora insegna la scrittrice. “Ho vissuto a Princeton dal 1978”, ricorda l’autrice, “e l’insegnamento mi ha dato occasione di frequentare la biblioteca: l’ambientazione storica nasce da quegli studi”.

La scrittura è una necessità?
“Noi scrittori siamo stati toccati da una benedizione: abbiamo scelto di dare vita a discorsi che altrimenti resterebbero muti. È una meraviglia, sì. Anche se a volte mi capita di pensare che sia una maledizione”.

Ennio Morricone sostiene che “l’ispirazione non esiste, c’è solo il duro lavoro”.
“Vorrei che fosse vero: purtroppo è necessario avere un’ispirazione, altrimenti non il lavoro non c’è affatto. Un’idea felice ti può fare andare avanti per mesi, anni. Ma se questa non c’è non ci sarà neanche l’energia o la motivazione per scrivere”.

Qual è il fine ultimo dell’arte? L’intuizione dell’infinito?
“Non voglio rispondere per l’arte in generale perché il raccontare, la cosa che faccio io, è qualcosa di diverso: è molto naturale ascoltare o narrare una storia”.

Oscar Wilde conclude l’introduzione al Ritratto di Dorian Gray scrivendo che “l’arte è inutile.”
“È una provocazione. Wilde era un uomo estremamente intelligente che amava essere controverso: ne ha dette di tutti i colori”.
Cambiamo allora citazione: in Morte a Venezia Thomas Mann scrive che “L’arte è vita su un gradino più alto”.
“Ecco, su questo sono abbastanza d’accordo”.

Come mai continua a scrivere a mano?
“Solo nella prima stesura, e la accompagno con annotazioni e sottolineature. Passo quindi al computer e ogni pagina ha molte stesure”.

Lei è atea, ma è stata cresciuta religiosamente: cosa è rimasto di quegli insegnamenti?
“”Atea” è un termine che mi sembra troppo secco e riduttivo. Sono interessata alla psicologia della religione e all’esperienza religiosa. Per me la religione organizzata è essenzialmente politica: un modo per istituire il potere di pochi per governare, e a volte sfruttare, molti. La religione è fondamentalmente patriarcale e anche questo m’interessa da una prospettiva femminista”.

Da dove nasce il suo nuovo romanzo Il maledetto?
“La maledizione che affligge i personaggi ha un’eco profonda: l’indifferenza della classe dominante, composta dai protestanti bianchi, nei confronti del dolore che soffrivano i neri. Il romanzo è stato scritto in origine nel 1984, e poi revisionato nel 2011, con un presidente di colore alla Casa Bianca: un cambiamento profondo!” Il suo è un racconto realistico nel quale compaiono vampiri e fantasmi. Si tratta di un romanzo epico e gotico: la tela sulla quale dipingo è grande e affronta temi sociali: un genere che ho già incontrato in passato in passato con Bellefleur, A Bloodsmoor Romance, Mysteries of Winterthurn . Ma i vampiri e i fantasmi sono figure surreali più che soprannaturali”.

Lei manifesta un rapporto di odio e amore nei confronti del mondo wasp.
“I narratori scrivono di quello che sanno o desiderano sapere”.

Sembra che ognuno dei suoi personaggi porti con sé il senso del peccato originale.
“È così, è quello che penso”.

In alcuni passaggi viene in mente Il giro di vite , il romanzo gotico di Henry James.
“È un romanzo che a sua volta è stato influenzato da Poe, Hatwthorne e gli scrittori gotici inglesi. L’ambiguità e l’inaffidabilità dei narratori è abbastanza comune in questo tipo di letteratura, nella quale mi piace cimentarmi. Mi riferisco in particolare a Poe, uno dei più grandi scrittori dell’Ottocento, incredibilmente contemporaneo: pensi a un racconto come Il cuore rivelatore , un capolavoro narrato da una voce folle”.

La letteratura considerata “alta” si cimenta poco con il gotico, come mai?
“Ma la narrativa è per sua stessa natura surreale e non realistica: pensi al lavoro di Cormac McCarthy, Hilary Mantel, Martin Amis, Toni Morrison, E. L. Doctorow. Ci sono elementi di irrealtà suggeriti anche dalla sperimentazione del linguaggio”.

Lei ha scritto uno dei libri più belli sullo sport, Sulla boxe, come mai ha scelto una disciplina così violenta?
“Devo a mio padre la conoscenza di questo strano sport, che va ben oltre il semplice agonismo e trascende le culture e le civiltà”.

Lei è una scrittrice estremamente prolifica: cosa rappresenta la scrittura nella sua vita?
“So che non ci crederà, ma non mi considero prolifica. Scrivere è lavorare con il linguaggio: una sfida eccitante, che molto stesso, però, genera frustrazione”.